domenica 30 marzo 2008

Ali taglia

Notizia forte: Alitalia, addio a Malpensa, da oggi via due voli su tre.
Alitalia da oggi ha tagliato la maggior parte dei voli intercontinentali da e per Malpensa.
Inter-rotte 181 tratte, circa 8mila posti di lavoro a rischio, compreso l'indotto, 900 dipendenti di Sea in cassa integrazione per 24 mesi, circa 6 milioni di passeggeri in meno l'anno, 70 milioni di euro in meno nella casse della Sea e un danno per l'economia lombarda stimato in 15 miliardi di euro.
Certo che è una bella batosta...d'altra parte quando si sostengono per vent'anni le compagnie di stato con iniezioni di capitale pubblico a dispetto dell'efficienza economica...
Già che ci siamo, qualcuno mi spiega cosa vuol dire Compagnia di bandiera? Io continuo a non capirne il significato e soprattutto perchè dovremmo difendere coi soldi dei contribuenti una società che perde 1 milione di euro al giorno.
Cos'è quest'ostilità diffusa ad entrare a far parte del gruppo Air France-KLM? Forse è la volta buona che - in mano ad altri - riusciamo ad essere efficienti e a non sperperare denaro pubblico. Credo che gli Italiani dovrebbero essere contenti di non dover più pagare, facendo due conti, una media di 6 euro all'anno pro capite. Non saranno tanti, 6 euro, dirà qualcuno...ma andatelo a dire a quei milioni di Italiani che stanno scivolando sotto la soglia della povertà.

martedì 25 marzo 2008

Al cinema


Bandipur, parco nazionale. La guida promette avvistamenti di elefanti, tigri e animali esotici. Ci spariamo due ore di macchina all'andata, su strade impervie, piene di buche. Giunti li`aspettiamo che apra la biglietteria, una casupola in cui i babbuini entrano dalla finestra e cercano di rubare tutto quello che capita a tiro: gli tiriamo le bucce di banana e loro fanno divertenti contorsioni per arraffarle. Io tiro fuori il sacchetto con le cibarie, Maria e Adil mi urlano contemporaneamente di stare attento, faccio appena in tempo a tirare su il sacchetto perche` un grosso babbuino stava per strapparmelo di mano.

Ci si prospetta la gita in elefante oppure in pullmino. Io opterei per il primo, piu` divertente, ma purtroppo parte solo dopo un'ora, cosi` ci dobbiamo accontentare della seconda soluzione. La gita di un'ora si rivela una cocente delusione: avvistiamo branchi di cervi, 4 pavoni (di cui uno fa la ruota a nostro uso e consumo) e 3 scimmie. D'altra parte con una turba di indiani - bambini e non - che schiamazzano appena vedono muoversi una foglia capisco che una tigre preferisca restarsene ben al sicuro nella macchia, invece che venire a farsi fotografare da noi. Tuttavia la natura e` rigogliosa e l'occhio, dopo tanto lerciume e tante persone, si rilassa
guardando alberi secolari e una zona totalmente incontaminata.





















Ci aspettano altre due ore di macchina per tornare a Mysore e il bilancio della giornata non è granché. La sera siamo di nuovo a cena da Adil e questa volta, terminato di mangiare (sempre al buio, ovviamente) ci fermiamo a parlare con loro e a giocare coi bambini. I piccoli fanno un casino, piangono contemporaneamente, il piccolo Mazmann piscia per terra e al cognata di Adil mette uno straccio per terra e lo passa col piede (operazione che mio malgrado mi provoca un po' di ribrezzo). La serata e` comunque piacevole, fatta piu` di sorrisi che di parole, considerato che l'unico che parla bene l'inglese e' Adil.

La mattina seguente si va a visitare il palazzo del maharaja di Mysore, una pacchianeria datata 1912, piena di specchi e colonne tortili, dipinti del tardo colonialismo anglosassone, baldacchini finemente lavorati e specchi di vetro di Murano. Nel complesso pero` e` affascinante e suggestivo, permette di capire la ricchezza e lo stile di vita dei sovrani indiani durante la dominazione inglese. Terminata la visita si torna da Adil per i saluti: siamo tristi perche` il tempo e` volato via; due giorni e mezzo sono effettivamente pochi ma il viaggio davanti a noi e` ancora lungo. Adil ci colma ancora di regali, boccette di profumi e olii, bastoncini di incenso, latte di cocco (oddio speriamo che non si rovesci sui vestiti) e i nostri zaini, di per se` gia` non leggerissimi, cambiano forma, peso e dimensione.




















Decidiamo di prendere l'autobus per Calicut, tempo stimato di viaggio: 6 ore. Ora, gia` 6 ore di autobus da noi sono una mazzata, figuratevi in India: velocita` media tra i 30 e i 40 all'ora, buche, sorpassi che definire scriteriati non rende l'idea. Qua e` normale superare un camion in curva, in salita, strombazzando a piu` non posso. E se arriva qualcuno dall'altra parte? chiederete voi...be`, se e` una moto, un tuctuc o una macchina si scansa fino ad uscire dalla banchina, se e` un altro bus o un camion si inchioda, si accelera all'impazzata rientrando all'ultimo secondo oppure si costringe chi arriva dall'altra parte a fermarsi. E` una specie di roulette russa, non sai se il prossimo sorpasso segnera` la fine del viaggio. Optiamo per il bus delle 2 ma e` strapieno e il bigliettaro ci dice che ce n'e` un altro alle 2.45. Le stazioni degli autobus sono strane, chiedi informazioni e ognuno ti dice un cosa diversa: il secondo controllore che interpello mi dice che il primo e` alle 4 e il terzo che non ce ne sono del tutto.

Non ci scoraggiamo e attendiamo pazienti alla piattaforma 11 (su quella sono tutti concordi nell'affermare che sia la nostra).

Alle 4 ancora nulla, mi alzo, mi guardo intorno e un vecchio dall'aria cenciosa mi tocca la spalla mormorando "Calicut, Calicut" e indicandomi un bus gia` dannatamente strapieno. Buon viso a cattivo gioco, saliamo e restiamo in piedi, di fianco all'autista coi nostri zaini.
Non e` male, viaggiare cosi`: davanti a noi l'enorme parabrezza, simile a uno schermo cinematografico, ci regala uno spettacolo senza eguali. Lungo la strada venditori di cocco accovacciati sotto frondosi alberi cedono il passo a villaggi incasinati, dove bambini, capre e mucche razzolano insieme.
E` sicuramente uno dei film piu` belli, vari e divertenti che abbia mai avuto modo di vedere e soprattutto non annoia mai. Dopo un paio d'ore riusciamo a sederci per terra, di fianco all'autista e in fondo la posizione non e` cosi` scomoda, eccettuato il fatto che ci viene in fretta il culo quadrato, che ad ogni fermata dobbiamo alzarci e spostare gli zaini per far scendere la gente. Io sono accovacciato di fianco al motore che butta fuori un caldo pazzesco e fa` un rumore infernale; ho capito che a Calicut arrivero` sordo e rincoglionito.
La strada, dopo un paio d'ore, cambia: i villaggi lasciano il posto alle colline disabitate, ci immergiamo in un mondo disabitato in cui il traffico e` scarso e la natura vince sull'uomo.
E`l'inizio del Kerala, la regione verde, un paradiso di appena (!) 30 milioni di abitanti. La salita dei Ghat occidentali, le montagne che separano l'altopiano del Deccan dal mare, e`spettacolare, peccato solo che alle 6 e mezza caschi la notte, inesorabile e veloce come accade ai tropici. La discesa verso il mare, attraverso un passo di 9 tornanti e decine di curve, purtroppo e` tutta nera ma dalla strada si intuisce la spettacolarita` del paesaggio.
Finalmente, alle 10 di sera, raggiungiamo Calicut, la citta` dove nel 1498 sbarco Vasco da Gama, il primo europeo a mettere piede in questo fantastico paese. Decidiamo di regalarci una notte in un albergo piu` bello, visto che il viaggio di domani si preannuncia altrettanto impegnativo: 5 ore di treno da Calicut a Cochin.

sabato 22 marzo 2008

Breve intermezzo extra indiano

Esco dal seminato per riportare quest'intervista apparsa oggi su Repubblica.it . Il presidente dell'ACI afferma che, in Italia, ci sono troppe auto in circolazione e propone una sorta di numero chiuso. A prescindere che sono totalmente d'accordo con questa frase (e che se continua così vendo la macchina perchè mi sono rotto di pagare multe, bollo ed assicurzione) ma quest'uomo è un grande. E' come se il Papa dicesse che c'è troppa gente che va a messa.

martedì 11 marzo 2008

Contrattempi e felicità

Il piano di viaggio fa a farsi fottere: la nebbia avvolge Delhi e ritarda oltre 80 voli, compreso il nostro che parte da li`. L’attesa nel piccolo e sporco aeroporto di Varanasi e` lunga: bisogna prenderla con filosofia. Mangiamo qualcosa al ristorante – parola grossa – illuminato da squallide luci al neon, in compagnie di turbe di giapponesi schiamazzanti che non capiscono una parola e comunicano con estrema difficolta` con la gente del luogo (gia` gli indiani parlano un inglese discutibile). Alla fine sono due le ore di ritardo, quanto basta per farci perdere la coincidenza per Bangalore; per fortuna, grazie a Davide e al suo efficientissimo agente di viaggi, Yosh Gupta, sposto il volo alla mattina dopo. Dormiamo a Delhi, da Davide, che e` strafelice di vederci, e una buona doccia accompagnata da una pasta al pesto fa svanire il rammarico per la giornata persa. La mattina partenza per l’orribile Bangalore, la` affittiamo un taxi prepagato che ci porta a Mysore, dove giungiamo alle 5 del pomeriggio, dopo 3 ore di strada infernale, con continui zigzag tra carretti e camion. Subito andiamo al mercato della frutta e verdure – coloratissimo e sfavillante – e troviamo il banchetto di Adil, l’amico che non vedo da 3 anni e una delle ragioni principali del viaggio.


Ci abbracciamo forte e gli occhi di entrambi sono velati, sorseggiamo un chai (il tipico tè con latte e zenzero) insieme e ci guardiamo intensamente: e` strano, dopo 3 anni di telefonate e lettere, stare sotto lo stesso cielo grigio e carico di pioggia a raccontarci le nostre vite (la sua assai meno bella della mia): un matrimonio combinato, un figlio arrivato per sbaglio, otto persone da mantenere, una casa piccola e sovraffollata. Eppure il buonumore non gli manca ed e` pieno di regali e attenzioni per me e Maria.


Passa di li` Stefan, un simpatico bretone, al suo ottavo (!!!) viaggio in India e si chiacchiera amabilmente per un’ora mentre inizia una pioggerellina assolutamente strana, data la stagione secca, ma molto apprezzata da Indiani e non.






Adil ci ha trovato un albergo vicino al mercato e la sera siamo a cena da lui, con la sua famiglia. La casa e` al primo piano, vi si accede da una scala stretta e buia, sopra si apre una prima stanza, la sala commune. Ci accolgono - sorridenti e dietro un muro di incomunicabilita` linguistica – la madre che ha 48 anni e ne dimostra 60, il fratello barbuto simil-talebano che odia Bin Laden e ha un poster con tutti i miracoli di Allah, la cognata sorridente e ciarliera e i loro due figli, la timida sorella e l’ancora piu’ timida moglie, Zohra, e infine l’ultimo arrivato in casa, il piccolo Mazmann.


Mazmann ha un nome simile a un grande scrittore Tedesco, occhi grandi e orecchie a sventola, un piccolo Dumbo umano. Gattona in giro per la casa e lancia urletti striduli di felicita` passando da un paio di braccia all`altro. Non ci stiamo seduti tutti al tavolo di legno cosi’ mangiamo io, Maria e Adil, a lume di candela perche` nel frattempo e` andata via la luce. Il cibo e` abbondante e squisito, le donne di casa hanno passato il pomeriggio a cucinare per noi e ne sono felici. Per parte nostra facciamo onore ai differenti piatti, Biryani – riso con le spezie e pezzi di pollo e montone, una deliziosa crema di cetrioli e cipolle, tenere polpette di carne e, come dolce, palline di farina e zucchero caramellato.
















Dopo cena ci fermiamo un po` a parlare ma la stanchezza si fa sentire e torniamo in albergo: domani abbiamo in programma una gita al parco nazionale di Bandipur, con Adil, distante appena un’ora, a quanto ci dicono.

Varanasi, la città sacra

Scusate l’assenza, sempre che qualcuno di voi l’abbia sentita; il tragitto e` stato lungo, le cose da vedere tante e le persone da ritrovare belle. Ci eravamo lasciati a Varanasi, in un hotel di bassa categoria ma tutto sommato vivibile e pulito. La mattina ci svegliamo alle 6 per andare a vedere l`alba sorgere sul Gange; in realta’ abbiamo visto ben poco se non la caligine mattutina, la nebbia dovuta all`umidita` che avvolge i ghat e li nasconde dietro una cortina d’irrealta`.

Il fiume e` il centro della citta`, sulle sue sponde avviene tutto: si bruciano cadaveri, avvolti in bianchi sudari, su fascine di legna, si lavano piatti e pentole, vestiti di colori sgargianti e ci si lava vestiti, donne con uomini, in un ambiente promiscuo che e` raro trovare in questo paese cosi` pudico e sessista.




Il giro in barca dura due ore e ci permette di vedere oltre una decina di ghat, sormontati dai palazzi degli antichi sovrani, i Maharaja, che, a causa dell’umidita` persistente, ammuffiscono e si sbriciolano, contribuendo a rafforzare l’impressione di disfacimento, decadenza e morte.

In mattinata giriamo con la guida che sul tuctuc ci porta a vedere alcuni templi hindu: il tutto e` sfiancante, sia per la tremenda cappa d’inquinamento, sia per il frastuono continuo, sia per il sovraffollamento.


Il tempio di Hanuman, dio-scimmia, e` riempito all’eccesso da centinaia di devoti che recitano mantra lamentosi e portano offerte all’altare centrale. Qui, ci spiega la guida, il giorno degli attentati di Al-Qaeida a Londra fu messa una bomba e parecchi fedeli morirono; cosi` dobbiamo lasciare giu` ogni oggetto elettronico e avanzare scalzi tra i babbuini che giocano, si spulciano, mangiano e cercano di arraffare qualsiasi oggetto.



Finiamo poi a vedere la fabbrica delle sete: anguste stanze buie (l’elettricita` a Varanasi manca dale 10 del mattino alle 3 del pomeriggio) dove bambini, uomini e donne sui filai intessono fili d’oro nei tessuti, colorano le stoffe in enormi mastelli bollenti in cui viene sciolta polvere colorata e indelebile. Il tutto assomiglia a un romanzo di Dickens e probabilmente la situazione non e` molto diversa da quella dell’Inghilterra del XIX secolo: sfruttamento del lavoro minorile, pessime condizioni igieniche e di lavoro.

Al pomeriggio decidiamo di intrufolarci nei vicoletti che separano l’hotel dal fiume: stretti, puzzolenti, ingombri di letame e di animali. Se non fossero cosi` dannatamente caratteristici e pittoreschi sarebbero solo merdosi. Finalmente sul fiume dove c’e` piu` aria e pellegrini, turisti, mendicanti, lavatori e santoni camminano, parlano e giacciono insieme.













Al tramonto ci sediamo su una panca di legno e vediamo la puja, la preghiera, in prima fila: giovani sacerdoti vestiti di rosso eseguono dei movimenti simili a una danza, con turiboli d’incenso e candelieri a molte braccia, al suono di un canto ripetuto fino all’ossessione.


Ceniamo sulla terrazza dell’albergo, il domani ci portera` una giornata di trasferimenti, da Varanasi a Delhi, da Delhi a Bangalore e da Bangalore a Mysore per abbracciare finalmente l’amico Adil.




domenica 9 marzo 2008

Topi e topaie

Il ritorno a Delhi e` pesante e per rilassarci io e Davide andiamo a berci una birra al bar dell`hotel Hyatt, un cinque stelle. Il contrasto tra la miseria della strada e il lusso del bancone di legno con le magnum di Moet & Chandon e` sconvolgente e a tratti irritante: al bar dell`hotel due baguette costano 250 rupie e una birra 350 rupie, quando un indiano medio riesce a sopravvivere con 30 rupie al giorno.

Immagini di bambini sporchi e cenciosi che raccattano la merda di vacca con le mani si mischiano con quelle di eleganti e sorridenti receptionist vestite di sari color porpora e alti portieri in divisa, con tanto di bottoni e alamari d`oro, che accolgono i ricchi turisti europei e americani al suono di "Welcome, Sir" anche se sono vestiti come straccioni.

La mattina dopo, prima di dirigerci all`aeroporto per prendere l`aereo per Varanasi, io e Maria giriamo per uno dei mercati piu` belli di Delhi, dove le carote sono rosse come pomodori e l`aglio candido come neve. Ogni genere di mercanzia, ordinatamente disposta su alti scaffali, fa` bella mostra di se`: tabacco da masticare (e da sputare) mischiato a shampoo della Garnier, jeans da un euro e televisori da 100.

Devo comprare le batterie della macchina fotografica e mi dirigo a un banchetto. Pare che costino 20 rupie la coppia ma quando tiro fuori il portafoglio, il venditore, dopo aver parlato con un anziano che presumo sia il padre, in un inglese stentato mi informa che in realta` il prezzo e di 25 a coppia. Gli do i soldi ma, preso da una sorta di premonizione, infilo le pile nella macchina li` davanti a loro e mi rendo conto che sono esaurite: inizia allora una lunga discussione, in inglese da parte mia e in Hindi stretto da parte loro. Io che di Hindi non parlo mezza parola sono in palese difficolta` ma non mi do per vinto: e` una questione di principio. Sono perfettamente consapevole che un euro per me non e` nulla e per loro una cifra discreta, ma mi dico anche che, visto che mi fregheranno altre cento volte da qui alla fine del viaggio, stavolta no, voglio indietro i miei soldi. Alla fine la spunto e, scuotendo la testa, nel modo tipico degli Indiani, e con uno sguardo di disapprovazione negli occhi, il vecchio mi restituisce le mie 50 rupie.


L`attesa in aereoporto e` lunga e snervante, i controlli lunghi e reiterati, ma alla fine a bordo di un aereo della compagnia low cost indiana SpiceJet - qua se non ci mettono le spezie dappertutto non sono contenti - decolliamo per Varanasi. Il volo e` breve, l`aereo nuovo e confortevole, in lontananza le candide cime dell`Himalaya spuntano tra la caligine che avvolge perennemente il subcontinente indiano e poi si perdono ad est.

All`arrivo veniamo braccati subito da uno scaltro agente di viaggi che ci promette taxi e albergo senza sbattimenti: sono stanco e non ho voglia di contrattare, cosi` accetto. Ovviamente il pagamento del taxi e` anticipato e, ovviamente, una volta a bordo, il tipo ci carica due ragazze (una e` sua sorella, dice) che devono scendere al nostro albergo. Ovviamente e` una balla, fa` solo in modo di far andare gratis due persone a carico nostro: siamo in India e la cosa e` normale, non mi metto a discutere. Dopo quasi un`ora di viaggio arriviamo all`albergo, l`hotel Sunshine...

- inciso - ho appena visto un topo sotto il mio computer che ha tirato fuori il muso, un topino di campagna grigio...

dicevo dell`hotel...a proposito di topi, una vera e propria topaia. Maria si rifiuta di dormirci e non so darle torto, cosi` chiediamo all`albergatore di indicarci un albergo more fancy e finiamo allo Yoghi Gupta, in un vicoletto pieno di merda di vacca e con un vitellino legato al muro, fuori dalla porta. L`albergo e` pero` piu` bello del precedente e dotato di terrazza panoramica dove ci servono un`ottima cena a base di - tanto per cambiare - pollo in tutte le salse.

Dopo una mangiata pantagruelica si va a dormire che domani la sveglia e` fissata alle 6 per andare in barca sul fiume Gange, la Madre Ganga, a veder sorgere il sole sui ghat, le gradinate, di Varanasi, la citta` dei morti.

sabato 8 marzo 2008

Circo India

L`India non e` un paese ma un circo: per capirlo e` sufficiente percorrere qualche chilometro su una strada Indiana. Noi ne abbiamo percorsi 400 in due giorni; essendo la velocita` media di 50 all`ora, oltre a metterci un sacco di tempo hai anche modo di vedere un mucchio di cose. La strada e` la vita, tutto si consuma ai suoi bordi.








Miseria, fango, sporcizia, negozi, bambini che giocano a piedi scalzi nella spazzatura, mucche che brucano non si sa cosa. Il viaggio per Agra e` lungo ma comodo, molto diverso da quelli che mi e` capitato di fare in passato, a bordo di scomodissimi autobus: qui sono su un'auto, con autista e aria condizionata.

Il bravo Sanjay e` miracoloso nell`evitare scontri con qualsiasi oggetto semovente; per capire com`e` fatta un`autostrada indiana e` sufficiente pensare alla Milano-Como, senza svincoli, con mucche, incantatori di serpenti, persone e carretti che attraversano in continuazione, carri trainati da biciclette, camion in contromano e tuctuc in corsia di sorpasso che improvvisamente svoltano dalla parte opposta a quella che uno si immagina.




Agra, finalmente. Una delle citta` piu` inquinate, sporche e caotiche del mondo, sede di alcuni monumenti fantasmagorici; tra essi la perla dell`India, il suo simbolo, il Taj Mahal, il monumento all`amore fatto costruire da un imperatore Moghul per la moglie morta. A differenza dell`altra volta non c`e` nebbia e posso godere della splendida vista della bianca cupola di marmo e dei finissimi intarsi di lapislazzuli e madreperla che, secondo il volere di Allah, raffigurano solo e solamente motivi floreali e geometrici.



E` sabato e anche i turisti indiani affollano il Taj Mahal: donne con sari colorati, bambini dagli occhi grandi, scolaresche di ragazzine in uniforme (golf blu, gonna bianca svolazzante, calzino su infradito a fare una specie di piede di cammello) rendono vivo questo monumento e ne formano il contesto.
L`India, me ne rendo conto sempre di piu`, è soprattutto la sua gente, il continuo rumore della vita che non si interrompe mai, l`impossibilita` della solitudine, i clacson suonati insistentemente, di continuo e senza motivo apparente.
Però, improvvisamente, si possono aprire attimi di silenzio, solitudine e meditazione.

Pranziamo sulla terrazza di una guesthouse e io, a differenza dei miei schifiltosi (o prudenti) compagni di viaggio che hanno preso pollo grigliato oppure nulla, mi sparo un favoloso pollo mughlai (con salsa piccante) e una birra fresca. Il pomeriggio passa in fretta, visitando il Red Fort, poi cena e a letto che domani ci attende Fatepuhr Sikri, la citta` fantasma, il gioiello dell`imperatore Akbar.
Fatepuhr Sikri e` costruita su una collina, a
40 chilometri da Agra; è domenica e tira un vento maledetto che solleva la polvere e fa lacrimare gli occhi. Ciononostante l`ingresso e` magico: una serie di gradoni portano al grande arco dietro al quale sta una spianata, dominata da una moschea candida con finissimi intagli in marmo che riflettono gocce di luce e scaglie di madreperla che brillano nella penombra.


Anche il resto della città è suggestivo: nel silenzio si levano palazzi di arenaria rossa che non è difficile immaginare vestiti del brusio della corte, di centinaia di concubine che si lavano nelle enormi vasche, di stallieri e cammellieri (ed elefantieri?) che curano i purosangue dell'imperatore.
Il
pomeriggio scorre via e siamo sulla strada del ritorno per Delhi: altre 4 ore, passando su strette stradine, in mezzo a villaggi situati al di fuori del tempo.


mercoledì 5 marzo 2008

Il mio grosso grasso matrimonio indiano

Il matrimonio dista appena 30 chilometri ma il viaggio si rivela ben presto un`odissea: i lavori per la metropolitana paralizzano Delhi e la presenza di mezzi tanto differenti tra loro non favorisce il tutto. Finalmente dopo 1 ora e mezza giungiamo alla festa.
Immaginate ai bordi dell`autostrada uno spazio all`aperto, meta` Disneyland e meta` Venezia, ma la Venezia delle cartoline, col ponte dei sospiri tutto illuminato da luci natalizie.




Nonostante gli sposi appartengano
alla casta dei
bramini, i piu` ricchi e nobili, il buon gusto non e`

di casa: lo sposo, un ometto rotondo e paciocco,
vestito di un improbabile azzurro carta da zucchero, giunge su un carro hollywoodiano, trainato da due candidi ronzini, tutto parato a festa, preceduto da una turba di ballerine in sari sgargianti e una banda di ometti baffuti e rossovestiti che si agitano e strepitano con trombe, trombette, tamburi, nacchere e qualsiasi strumento possa fare rumore.

Questa scena, gia` di per se` particolare, diventa surreale quando si nota un camion che segue il carro e funge da generatore per le mille luci colorate che addobbano il carro.

Entriamo all`interno e ci accoglie un prato preparato come fosse una fiera, con banchetti in cui viene cucinato cibo, camerieri che lo distribuiscono con quel fare cerimonioso e accondiscendente che hanno tutti i camerieri del mondo, figurarsi quelli indiani. Per inciso, visto che il matrimonio e` tra bramini hindu, l`alcool e` vietato: trattasi quindi di un dry wedding, una palla mostruosa. Per fortuna ci sono alcuni colleghi di Davide coi quali costituiamo un gruppo di Italiani.

In fondo al prato e` stato allestito il palco per la cerimonia e ovviamente e` un concentrato di pacchianeria: luci, veli, specchietti, tutto contribuisce al cattivo gusto, ma non importa, va bene cosi`.

Anche noi saliamo sul palco per la foto di rito con la sposa e i parenti, vestiti in abiti tradizionali, parliamo con la madre della sposa e le facciamo i complimenti che si fanno di solito, con la piccola differenza che si tratta di un matrimonio indiano, a 6000 chilometri da casa.

Verso mezzanotte la gente inizia a sciamare e visto quanto ci abbiamo messo all`andata decidiamo di andare anche noi, visto che domani la sveglia e` fissata per le 6 e 30 per andare ad Agra a vedere il Taj Mahal.

La strada del ritorno e` perfino peggio perche`
dopo mezzanotte iniziano a circolare i camion che di giorno sono banditi. Le due corsie si riempiono in fretta e diventano file di 3 o 4 macchine, i camion impazzano, bici, carretti, perfino un enorme palla che al buio sembra un elefante morto e invece si rivela un covone di fieno alto 5 metri, caricato su un trattore che si e` messo di fianco in mezzo alla strada e rallenta tutto e tutti. Inoltre gli indiani hanno la strana abitudine di fermare il camion e dormire dove gli pare, noncuranti del fatto di essere in mezzo a una strada o su un cavalcavia.


La buttiamo sul ridere perche` non si puo` fare altrimenti e all`una e mezza siamo finalmente a casa. Ci aspettano poche ore di sonno e domani di nuovo in viaggio: 200 chilometri e 4 ore di viaggio per giungere ad Agra, la citta` adagiata sulle sponde del fiume Yamuna, sede di alcuni dei piu` bei monumenti indiani.

lunedì 3 marzo 2008

INDIA 2008

L'Imperatore di Delhi

L`India la senti dall`aria. Odore di polvere, di caldo, di spezie. Appena scesi dall`aereo un grigio e slabbrato corridoio ti porta dentro l`edificio che nulla ha a che fare con gli aereoporti europei. Gente vestita in maniera differente: turbanti, sari e pijamas colorati riempiono l`ambiente, cosi` come gli strani suoni liquidi di questa lingua, così armonica ed infantile.


All’uscita una fiumana di gente con la faccia scura e Davide, il nostro ospite, che con la sua erre arrotata esclama “Steeee. Marrryyyy!”. Forti abbracci ad un amico che non vediamo spesso e poi fuori, verso l`India, verso questo paese di oltre un miliardo di abitanti. Ci accoglie Sanjay, l`autista, che ci accompagna lungo larghe strade alberate e larghi rondeaux verso casa di Davide, a Defence Colony, la zona ricca di questa megalopoli da 13,5 milioni di abitanti, in larga parte poveri.


Il tempo di lasciare le borse e si va a ballare, è mezzanotte e mezza ormai, ma fa nulla. Dritti verso una discoteca di Delhi, uno di quei posti che non conosci se non sei con qualcuno che ci abita. Il posto è kitch ma divertente: scene del kamasutra intagliate in legno sui muri, una tetta con tanto di capezzolo esce da una colonna, in pista indiani e stranieri (quasi tutti, immagino, residenti), belle ragazze, un francese gay che ci prova con Davide e noi stanchi ma felici e curiosi di vedere uno spaccato di India che e` diverso dal lerciume a cui sono abituato. Davide e` l`imperatore del luogo, conosce tutti e quelli che non conosce fa` in modo di conoscerli, soprattutto se donne giovani e piacenti, offre da bere e alla fine da` un passaggio alla bella Martha, congolese con un bel sorriso e la pelle ambrata.


Alle due siamo a letto e la mattina dopo, nonostante la sveglia, la passiamo dormendo. Finalmente alle 3 del pomeriggio risorgiamo, una doccia e un piatto di spaghetti a casa. Casa di Davide e` enorme, una specie di piazza d`armi: 3 stanze, un salone, l`angolo-bar, 3 bagni e una scala che conduce a un enorme terrazzo che spazia su Delhi.

Alle 4 e mezza usciamo con Sanjay che ci porta verso il parlamento e l`India Gate, un arco di trionfo contornato da un parco che all`ora del tramonto si riempie di gente, venditori ambulanti di qualsiasi cosa, perfino un rickshaw-baracchino del telefono. Vendono fiori, libri illustrati, una specie di lanciarazzi che spara un`elica ad altezze abnormi, cibo di ogni genere e regalano sorrisi anche se non sai mai se sorridano perche` sono felici o perche` cercano di venderti qualcosa.

L`atmosfera e` calda, tranquilla, rilassante, i colori soffusi ma, quando il sole cala, il buio scende veloce. Andiamo a prendere Davide in ufficio nell`ora di punta e il traffico e` caotico, inarrestabile, lento: mucche, camion, bus, rickshaw, carretti, tuc-tuc (come chiamano qui i motorickshaw) si combattono una quotidiana guerra che non li porta da nessuna parte eppure sono tutta la loro vita. Davide esce bello incravattato dall`ufficio, si fa` un salto a casa e poi via verso il matrimonio di una sua collega, a nord-ovest di Delhi.

domenica 2 marzo 2008

Benvenuto

Buongiorno a tutti, ecco il primo post del mio nuovo blog, el Gringo Indio.
Perchè un blog? Per parlare, per dire la mia, anche se a nessuno interessa.
Perchè el Gringo? Perchè è uno dei soprannomi che mi hanno dato in passato.
Perchè Indio? Perchè adoro l'India (e perchè era il soprannome di Gian Maria Volontè in "Per qualche dollaro in più").
Non so se riuscirò sempre ad aggiornarlo, però so che quando avrò qualcosa da dire, lo dirò qui.
Buona lettura!